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Sguardi

Giulio guardava fuori dal finestrino il caos cittadino. Nemmeno la leggera pioggia riusciva a fermare il brulicare della gente per le strade.
Lui, seduto sullo scomodo sedile del vecchio autobus, osservava distratto.
Le piccole gocce sul vetro, scivolando, disegnavano strani percorsi distorcendo, in parte, la scenografia di quella grigia mattina d’inverno.

Giulio era perso tra i suoi pensieri e nel pesante cappotto marrone col colletto alzato per proteggersi dal freddo di un rigido dicembre. Anche quella mattina, come tutte le mattine ormai da qualche anno, aveva preso l’autobus. Sempre lo stesso, il 32 A che lo avrebbe portato proprio sotto al suo ufficio. Alla fermata di piazza Roma sarebbe sceso, avrebbe comprato il quotidiano dal giornalaio e poi su per le scale di quel vecchio palazzoto in stile barocco.
Otto ore tra scartoffie e reclami nella solitudine della sua stanza con l’unica compagnia di un bizzarro orologio da parete che avrebbe scandito, con il suo ticchettio fastidioso, il tempo mancante prima di poter tornare a casa. Alle diciotto, dopo aver salutato Adele, la segretaria, avrebbe atteso il 32 B l’autobus che, facendo il percorso inverso, l’avrebbe riaccompagnato a casa.
«Stasera non devo dimenticare di compare la frutta!» pensava, mentre la pioggia cadeva battente. Il caos cittadino costringeva il vecchio autobus a continue fermate e brevi ripartenze. Un procedere lento e monotono che sembrava non infastidire l’anziana donna seduta al suo fianco. Viso scavato dai segni del tempo, mani curate messe in risalto dal rosso acceso dello smalto ed una postura fiera e severa.

Ora l’autobus era fermo.
Nella strada, nel senso di marcia opposto a quello del mezzo in cui viaggiava, un altro autobus si districava nella confusione di quella giornata uggiosa. Per un attimo i due autobus, che procedevano in senso opposto, parvero toccarsi e dovettero procedere ancora più lentamente.

Fu in quell’istante che gli occhi di Giulio si posarono su di lei.
Sull’altro autobus, seduta sul terzo sedile, una giovane donna forse trentenne. Lineamenti delicati, lunghi capelli biondi, labbra carnose che mordevano dolcemente una biro.

Giulio ne restò folgorato. Non riusciva a distogliere lo sguardo.
Maledì quei vetri bagnati che lo separavano da lei. Desiderò di poterle stare accanto, accarezzare quei morbidi capelli dal profumo di mandorla, assaggiare quelle rosse labbra di fragola…

Un colpo di clacson fece sobbalzare la ragazza.
Distosle gli occhi dal libro che teneva nelle mani e guardò fuori. Incrociò lo sguardo di Giulio e si rese conto di essere osservata. Sorrise.
Giulio, dall’imbarazzo, abbassò lo sguardo. Pochi secondi e i suoi occhi non poterono fare a meno di tornare dove li aveva lasciati. Lei eri lì che lo fissava. Un sorriso timido illuminava il suo volto.

I due restarono a guardarsi per lunghi interminabili secondi. Nessun tentennamento, nessun imbarazzo. Solo un lungo, corrisposto, sguardo.

Uno dei due autobus avanzò di un paio di metri e si fermò. Non erano più uno di fronte all’altra. Entrambi ruotarono leggermente la testa verso sinistra e continuarono a fissarsi.

Giulio si alzò di scatto. Lei sgranò leggermente gli occhi intuendo il senso di quel gesto improvviso.
I due autobus erano fermi.
Giulio avrebbe fatto spostare la signora anziana dalle mani ben curate, sarebbe sceso dal suo autobus e l’avrebbe raggiunta.
Questo è quello che avrebbe voluto fare, ma non ne ebbe il coraggio.

L’altro autobus riprese lentamente la corsa.
Rimasto all’impiedi, vide il viso sorridente di lei allontanarsi fino a scomparire nel grigio della città.

Si sedette deluso confortato dal pesante cappotto marrone col colletto alzato.
«Stasera non devo dimenticare di compare la frutta. Prenderò le mele… Angelina sarà contenta!»

In fondo lui Angelina, sua moglie, l’amava…

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