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Ricordi di un Natale lontano

Due settimane fa abbiamo fatto l’albero di Natale.
Mio padre, di buon mattino, è uscito di casa con il solito giubbotto e l’inseparabile borsello nero di pelle. Anche mia madre, con il consueto grembiule, è particolarmente indaffarata. E’ il giorno che io e mio fratello abbiamo tanto atteso: quello in cui addobberemo l’albero di Natale.
Una frenetica attesa ci pervade.

La colazione è già pronta in tavola ma il nostro pensiero va alla stanza accanto. Mia madre è già in salotto e sta spostando i pesanti divani di velluto marrone. Presto quella fredda stanza, a noi bambini quasi sempre inaccessibile, accoglierà il pino e la magia del Natale che porterà con se.
Vediamo nostra madre dirigersi verso il ripostiglio. Torna in cucina con un voluminoso scatolo un tempo contenente alcune bottiglie del brandy Stock 84 testimonianza di un dono ricevuto da mio padre in un precedente Natale. Dentro la confezione nastri luccicanti di tutti i colori, palline di ogni forma e dimensione e una matassa di luci. Incredibile l’euforia che proviamo mentre saltiamo felici agghindati dai nastri colorati che, nel frattempo, abbiamo indossato come improbabili sciarpe.

Sentiamo chiudere la porta del garage. Io e mio fratello ci precipitiamo all’ingresso. Apriamo la porta di casa e ci ritroviamo sul pianerottolo. Il voluminoso corrimano di legno della ringhiera in mogano non ci permette di vedere bene la figura di nostro padre un piano più giù.
Lo sentiamo armeggiare con veemenza. Immagino la scena di lui che cerca, con difficoltà, di far uscire il pino dai sedili posteriori dell’Alfetta. Finalmente lo vediamo spuntare con il pesante e desiderato carico sulle spalle. Riesce a portare l’albero dentro casa con non poche difficoltà. Sarà perché è un pino veramente grande o sarà perché noi, increduli, non vogliamo saperne di levarci dai piedi. L’albero fa il suo ingresso in salotto lasciando dietro di se una miriade di aghi per terra, le imprecazioni di mia madre ed un inconfondibile, pungente, profumo di Natale.

Io e mio fratello ammiriamo il pino in tutta la sua maestosità. E’ talmente grande che le pietre messe dentro il vaso, a sostenere il tronco, riescono ad assolvere con difficoltà al loro compito. Anche la punta, ricurva dopo aver toccato il soffitto, testimonia che l’albero è davvero grande, troppo grande.
Come ogni anno, mia madre, ammonisce mio padre: <<non potevi prenderne uno più piccolo?>> e come ogni anno le nostre grida di felicità coprono un’improbabile sua risposta.
Il pino comincia a prendere forma. Mentre mia madre inizia ad ornarlo con i nastri colorati, mio padre sostituisce le luci fulminate con lampade nuove nella matassa delle luminarie dell’anno precedente. Io e mio fratello cominciamo ad abbellirlo con le palle colorate. L’albero è pieno di addobbi nella parte bassa e spoglio in quella alta dato che noi oltre ad una certa altezza non arriviamo… Ma tant’è. I nostri occhi osservano i nostri volti felici nel riflesso dorato di quelle palline. Quando anche le luci fanno la comparsa sul maestoso albero, restiamo immobili ad ammirarlo. E anche quando nostra madre torna alle consuete faccende di casa e mio padre si perde tra le pagine della cronaca di Catania di un quotidiano, noi restiamo fermi davanti al pino immaginando i regali che presto avremmo trovato ai suoi piedi.

Nei giorni scorsi hanno fatto la loro comparsa i primi doni. Alla spicciolata cominciano a farsi largo tra ceste regalo e calendari. Forme e colori che accendono la fantasia mia e di mio fratello. La tentazione di sbirciare tra le pieghe della carta da regalo è forte ma il pino, con i suoi estesi rami, sembra quasi proteggere quei doni. Desistiamo a fatica.
Nelle fredde notti, nella nostra stanza, protetti da abbondanti coperte, ci siamo lasciati cullare dal gioco di luci riflesse sul muro provenienti dal salotto e filtrate dagli inserti in vetro delle porte di legno.
Questa notte no!

I nostri genitori stanno già dormendo. Ci alziamo. Sento un brivido sulla schiena complice l’adrenalina ed il contatto tra i miei piedi scalzi ed il marmo. Pochi passi leggeri e siamo davanti la porta a vetri del salotto. La danza delle luci colorate dietro di essa è un chiaro invito ad entrare.
La grande stanza buia è illuminata da mille colori che disegnano strane forme sulle pareti.
Cominciamo ad esaminare con minuzia le confezioni dei regali. <<Che strana forma ha questo pacco… Questo è troppo morbido per essere un giocattolo… Sarà certamente un vestito!>>.
Li abbiamo esaminati tutti. Abbiamo qualche certezza ma molti dubbi che finalmente domani saranno fugati. Seduto sulla poltrona, prendo in mano la custodia di un vecchio vinile e leggo il testo di Generale di De Gregori soffermandomi sulla frase: <<Solo aghi di pino e silenzio e funghi…>>.
Anche in questa stanza adesso c’è silenzio ed il forte odore di pino invade i nostri pigiami. Dobbiamo tornare a letto ma ci lasciamo cullare ancora un po’ dal caldo velluto marrone del divano e dalle luci colorate intermittenti.

A Bronte è la vigilia di Natale del 1986.
E fuori nevica.

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