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Dimmi che fai, silenziosa luna

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.

Marta guardava la luna dal balcone di casa sua ed in mente le ritornavano i versi del Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. Ricordava ancora quel canto: il poeta che, nei panni di un pastore, poneva delle domande retoriche alla luna sull’esistenza umana e sul suo compito di guidare il gregge che, in quanto composto da animali, non può conoscere il dolore dell’esistenza. Il pastore vorrebbe fare altro: vorrebbe fuggire via, viaggiare… ma non può farlo e per questo ne soffre e giunge alla conclusione che era meglio non essere nato.
In fondo cos’è la vita se non un viaggio affannoso verso la morte?

Quante similitudini quella notte d’agosto tra quei versi ben stampati nella sua mente ed il malessere che covava dentro da tempo…

Marta accese l’ennesima Camel Blue è restò a guardare la luna.
Alle due di notte il frastuono della città lasciava spazio al frinire delle cicale. Tutt’intorno silenzio.

Lei stava seduta, dondolandosi, sulla vecchia sedia di legno. I piedi nudi sul freddo corrimano della ringhiera cercavano un parziale refrigerio in quella afosa notte estiva. Le dita della mano sinistra ticchettavano nervosamente sulla ceramica del piccolo tavolino stracolmo di piccoli vasetti di piante grasse mentre la mano destra con, movimenti automatici, portava sulle sue sottili labbra quel vizio al sapore di nicotina.

<<Cosa guardi stupida luna?>> sussurrò a denti stretti Marta.
Una lacrima le rigava il viso.

Spense la sigaretta ancora a metà e si portò le mani nei capelli. Il pianto divenne isterico.
<<Non doveva andare così!>> ripeteva dondolando la testa in avanti. <<Perchè lo hai fatto?>>

Nel suo dialogo con la luna parlava di Mario, il ragazzo che finalmente l’aveva resa felice! Lei, da sempre vulnerabile, non aveva mai trovato l’amore, quello vero, quello che fa sospirare. Diversi uomini avevano incrociato il suo destino ma nesuno l’aveva mai resa felice.

Con Mario era diverso.
Lui era dolce e sensibile, lui non era come gli altri. Bastò poco a Marta per comprenderlo. Gli donò la sua vita in maniera incondizionata ed il giorno in cui lui le chiese di sposarla il passato non ebbe più importanza. Adesso era felice.

<<Non dovevi farlo, Mario!>> Già, Mario non avrebbe dovuto prendere a tutta velocità quella maledetta curva. Della Yamaha XVS restò ben poco, del povero Mario solo il ricordo in un mazzo di fiori al bordo di una strada.
Erano passati già due mesi, ma Marta non aveva retto al dolore.

Si accese nuovamente un’altra sigaretta. Il ticchettio delle dita sul tavolo era ancora più frenetico.
Anche lei, come il pastore di Leopardi, avrebbe voluto fare altro: avrebbe sposato il suo Mario, avrebbe avuto dei figli, sarebbe stata felice. Adesso che senso avrebbe avuto vivere?

<<Quanto ci mette?>> disse ad alta voce tremando.
Aveva appena vuotato un barattolo di Prozac ingerendo tante, troppe compresse.

Chiuse gli occhi ed attese…
In fondo cos’è la vita se non un viaggio affannoso verso la morte?

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