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Al terremoto non ci si abitua mai

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Al terremoto non ci si abitua mai.
Il terremoto ti prende, all’improvviso facendo crollare muri e sicurezze.

25 dicembre.
L’abbondante pranzo di Natale è ormai un ricordo.
Una festa in famiglia con buon cibo, immancabili foto ricordo, schiamazzi e tanta gioia.

Adesso siamo, finalmente, rientrati a casa. Il pomeriggio scorre lento.

Le urla festanti dei bambini del pranzo appena concluso, rimbombano ancora nelle orecchie con un leggero ronzio mentre lo stomaco, sazio all’inverosimile, non vuol saperne di ospitare altro cibo.
Una tazza di thè allo zenzero è un piacevole conforto prima di andare a dormire.

I bambini, ormai stremati, hanno già indossato il pigiama. S’intrufolano, rapidamente, sotto il piumone del letto matrimoniale: una piacevole abitudine quella di stare tutti e quattro sotto le coperte per qualche minuto. Prima di essere sopraffatti dal sonno, si avviano nella loro stanza.

Come da abitudine, controllo per l’ultima volta lo smartphone. Leggo gli auguri ricevuti da un conoscente a cui non ho risposto; scruto su Facebook le tavole imbandite pubblicate dagli amici e scorro la galleria delle foto fatte durante il pranzo con i parenti.
È ora di dormire.

26 dicembre.
Sono passati pochi minuti dall’una. La terra trema.
Pochi secondi ma tanto basta a mia moglie per scattare verso la stanza dei bambini. Non fa in tempo ad abbandonare la nostra camera che la scossa finisce.
Pochi secondi di silenzio per accertarsi che i bambini stiano ancora dormendo e lei torna a letto.
Nel silenzio della nostra stanza attimi di silenzio.
Conoscendo il mio terrore per i terremoti, mia moglie mi domanda: <<Ti sei spaventato?>>. <<No!>> rispondo io, mentendo.
Chi vive ai piedi dell’Etna è abituato a convivere con i suoi umori. In vita mia ho sentito tanti terremoti ed alla fine di ognuno resta sempre quel senso di impotenza che ti assale…
<<Adesso dormiamo!>> esclamo io sforzandomi di avere un tono di voce rassicurante.
Mi giro sul fianco ma ho gli occhi sgranati. Anche mia moglie non riesce a prendere sonno. Sento il suo respiro regolare e percepisco la sua inquietudine. Questo mi fa stare meglio: ho qualcuno con cui condividere il mio malessere; non sono solo!

Alla fine anche lei cede al sonno.
Adesso son rimasto sveglio solo io. Questo buio mi opprime, queste coperte mi tolgono il respiro.
I minuti scorrono e con essi tutte le mie paure.
Mi rigiro sul letto ma sono teso. Ogni piccolo movimento mi fa trattenere il respiro. Maledico la bottiglia di plastica dell’acqua in cucina che con un rumore improvviso mi fa sobbalzare.
Anche il miagolio del gattino sulla strada mi crea disagio.
In realtà non è un gattino, sembrano due, forse tre. A dire il vero non stanno miagolando. Sembra più un lamento: una cantilena alternata che non riesco a togliere dalla mente.
È risaputo che gli animali “sentano” in largo anticipo l’arrivo di una scossa. Razionalizzo la cosa e sento un brivido alla schiena.
I miei timori si acuiscono ed io sono solo. Anzi no. Mia moglie mi si avvicina e mi mette una mano sul fianco. Anche lei ha fatto caso alla cantilena proveniente da fuori. Ne sono certo.
Nessuno dei due dice nulla.
La vicinanza del suo corpo non lenisce affatto i miei brividi.
Provo a chiudere gli occhi. Devo chiudere gli occhi.

Ore 03.19
Un rumore tremendo.
Una forza che non riesco a spiegare mi tiene inchiodato al letto. Non riesco ad alzarmi. Intorno tutto trema all’inverosimile e strani scricchiolii giungono da ogni parte della casa.
Mia moglie è in piedi e vorrebbe dirmi qualcosa ma dalla sua bocca non esce alcun suono.
Sento in maniera chiara il rumore degli oggetti che cadono in cucina. Intanto abbiamo preso in braccio i bambini e siamo nel corridoio. Tolgono la corrente elettrica. Assisto a tutto ciò e penso: <<sta accadendo davvero!>>.

La lunga scossa finisce.
Siamo al buio, spaventati.
Con l’aiuto delle torce degli smartphone riusciamo a mettere qualche indumento pesante addosso ai bambini. In una busta di plastica tre plaid e due bottiglie di acqua.
Il paese si è svegliato.
Si sentono grida provenire dalle altre case.

Abbiamo nuovamente la luce.
La casa illuminata conferma quello che sapevamo già: tutti gli oggetti per terra, ante e cassetti aperti e disordine ovunque. Ma non c’è tempo per tutto questo.
Sul pianerottolo di casa incrociamo gli sguardi, tutti uguali, dei vicini. Qualcuno piange.

Finalmente siamo in macchina.
Mentre guido ho lo sguardo dritto sulla strada. Non ho il coraggio di guardare il volto di mia moglie: ho paura di leggere nei suoi occhi il terrore che ho nei miei.
La strada è un brulicare di persone e di automobili.
Raggiungiamo il punto di ritrovo predisposto, in passato, dalla Protezione Civile e posteggiamo l’auto.
Attorno a noi nessun muro, nessun lampione, nessuna casa. Solo un rassicurante slargo.

Mettiamo le coperte addosso ai bambini perché i 5 gradi di temperatura si fanno sentire nelle ossa.
Sullo smartphone arrivano le prime immagini di distruzione. Case crollate, anziani estratti vivi dalle macerie e voci terrorizzate. Scopriamo che, a differenza della prima scossa di magnitudo 3.3, il secondo terremoto ha raggiunto un picco di 4.9 ad una profondità di solo un chilometro. Epicentro ad 1,5 chilometri da casa nostra.

Assistiamo impotenti al via vai di ambulanze e pompieri.
Per fortuna gli amici stanno tutti bene. Qualcuno ci ha già raggiunti. Commentiamo spaventati l’accaduto e cerchiamo di rassicurare i piccoli.

Dopo aver passato tre ore al freddo, decidiamo di rientrare a casa.
Controllo la scala. Fortunatamente nessuna crepa.
Dentro casa ci attende il disordine ed una innaturale paura: il luogo che è sempre stato il simbolo di sicurezza adesso mi opprime, mi spaventa.

I bambini, stremati, hanno sonno ma, comprensibilmente, non vogliono saperne di dormire nella loro camera: li ospitiamo nel nostro letto come avvenuto poche ore prima.
Loro vogliono dormire, io rivivo i tragici momenti appena passati.

Il piccolo si accuccia sul mio petto. Si sente al sicuro.
Una sicurezza che non posso dargli.

Dalle persiane cominciano a filtrare le prime luci del giorno. Mi rilasso. Non riesco più a tenere gli occhi aperti. Mi addormento.

In fondo ho sempre pensato che il terremoto, di giorno, fa meno paura.

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